Un Latina forte, organizzato e con tante alternative quest'anno
C’è subito da dire che tra Latina e Potenza è stato un bel confronto, di quelli che non ti fanno rimpiangere il costo del biglietto e ti riconciliano con il calcio. Due buone squadre, una manovra ragionata, un ritmo perfino eccessivo nella prima frazione, uno spettacolo avvincente condito da gol e occasioni, senza tacere della sostanziale correttezza che non è proprio così scontata quando in campo si profonde una quantità industriale di energia fisica.
È la seconda vittoria consecutiva per la truppa di Di Donato che si fregia del punteggio pieno in classifica, dando oltretutto l’impressione d’essere organico più forte e meglio attrezzato della scorsa stagione. Voglio sottolineare che si tratta di una semplice impressione in quanto le certezze blaterate dopo appena 180’ di gioco rischiano d’essere la faccia nascosta prima dell’illusione, poi della delusione. Impressione che tiene in conto le buone sensazioni offerte da più d’uno tra i nuovi arrivati, la trasformazione di qualche nome già noto (in particolare Riccardi) e soprattutto l’evidenza che Di Donato ha a disposizione una panchina finalmente lunga e di qualità. Vedremo nelle prossime giornate se l’impressione di oggi si rivelerà fallace oppure i risultati in campo ce ne daranno conferma.
Quando un successo arriva nei minuti finali, è gioco forza attribuirlo alla tenacia, al carattere della squadra vincitrice. Ci sta, il calcio è fatto di immagini e giudizi stereotipati. Non deve però fare gridare alla lesa maestà se alle qualità di cui sopra, aggiungo pure una piccola dose di fortuna sotto forma della bravura di Fabrizi e della uscita a farfalle di Gasparini in occasione della rete decisiva. D’altronde quando si scrive di un confronto deciso da un episodio non si parla di nient’altro che di fortuna o sfortuna, a seconda della prospettiva da cui la si guarda.
Però, aggiungo, che il fattore “K” Di Donato se lo è andato a cercare, e mi spiego. Latina e Potenza hanno interpretato la partita in modo diverso: i lucani hanno avuto in Laaribi un costante punto di riferimento, lasciando che della rifinitura e della profondità si occupassero Prezioso e, soprattutto, Volpe. Di contro il Latina ha manovrato in ampiezza, quasi esclusivamente a destra con Del Sole mentre sul lato opposto Ercolano è stato a lungo un oggetto non identificato, manchevolezza a cui Riccardi ha cercato di porre rimedio trovando una spalla nella generosità di Mastroianni. Un atteggiamento non so quanto voluto, conseguenza delle difficoltà di Cittadino a imporre la propria personalità al centro della mediana, laddove l’interdizione deve abbinarsi alla proposizione che invece è rimasta nel limbo delle buone intenzioni. Una situazione che ha rischiato di fagocitare il pur volenteroso Di Livio, alla ricerca costante della posizione.
Descritto con qualche lungaggine di troppo ciò che ritengo (parliamo sempre di una mia personalissima interpretazione dei fatti) sia l’antefatto, vengo al fatto, che poi ha un nome, Simone, ed un cognome, Biagi. Non è che Biagi abbia fatto sfracelli, ma la sua posizione leggermente più avanzata e soprattutto la sua presenza più costante nel fulcro della manovra ha fatto crescere in maniera decisiva gli interni, leggasi Di Livio e Riccardi, liberando finalmente la corsa di Ercolano. A quel punto non si è spento il Potenza, bensì è cresciuto il Latina che peraltro ha trovato nell’esperienza di Paganini un confortante rifugio e nella verve di Fabrizi l’opportunità vincente.
È la conferma di quanto scritto: l’importanza della panchina. Non solo per quantità e qualità delle alternative offerte ma anche, e forse soprattutto, per le variazioni sul tema tattico che è in grado di garantire.